In dialogo con Maria Pia Latorre a proposito di "È stato per caos": le ragioni di un libro

Maria Pia Latorre è poetessa e scrittrice particolarmente attiva nel territorio pugliese e specificatamente barese anche come attivista ambientalista, attività con la quale ha dato vita al percorso letterario denominato L'Isola di Gary, dedicato e ispirato a Gary Snyder, giunto alla sua quarta uscita, di prossima pubblicazione, che raccoglie contributi poetici regionali e nazionali attorno ai temi dell'ambientalismo. Insegnante di professione e promotrice culturale per passione, ha recentemente dato alle stampe la sua terza silloge poetica.
In occasione dell'uscita della sua nuova raccolta È stato per caos, edito nella collana “Polveri” per i tipi di Tabula fati (Chieti, 2025), più che un'intervista, abbiamo dedicato qualche minuto a dialogare con l'autrice in un momento di vero e proprio scambio di pensieri sulla sua opera.

L'intervista è stata pubblicata sulla pagina culturale del Quotidiano di Bari in due parti, nelle giornate di venerdì 19 settembre e martedì, 23 settembre 2025.



Leggendo il tuo È stato per caos ho come l'impressione che tu abbia proiettato 'io poetico in una dimensione universale (ma non atemporale) essa stessa rimodulata secondo l'osservazione di quello stesso io, fatta di dettagli e domande che delineano un perimetro indefinito e variabile: direi il perimetro del caos che, non a caso – credo – sia anagramma di caso...

Nell’arco di una vita abbiamo tempo a sufficienza per porci le necessarie domande esistenziali. Esse fanno parte del nostro patrimonio genetico e affiorano in senso filogenetico dalla notte dei tempi, così come in senso ontogenetico dai primi momenti di consapevolezza dell’esistenza.
Tutti, chi più chi meno, c’interroghiamo intorno alla vita, alla sua origine, al suo trasfondersi nella varietà dei viventi, come c’interroghiamo sull’interiore solitudine che ci accompagna.
I nostri itinerari esistenziali, oltre che essere diretti da noi, spesso incrociano variabili quali il tempo e la casualità, che in parte (quanta?) ne caratterizzano il percorso.
Osservando ciò che accade, mi sono persuasa che l’interazione tra la regolarità dell’esistenza (ciò che la psicologia definisce “routine”) e le variabili disseminate lungo il suo svolgersi genera disordine.
È il disordine che attraversa le nostre vite un mare in tempesta che percepiamo come opportunità o come avversità, a seconda della nostra naturale inclinazione. “Caos” è l’elemento fondamentale e indispensabile al raggiungimento di un ordine, a partire dall’entropia (la tendenza al disordine insita nei sistemi), poiché è da esso che si passa perché ogni elemento sia collocato al giusto posto.
È sempre il caos a dare origine ad un innesco di reazioni a catena, che, o per caso, o per intenzionalità (si legga anche effetto e necessità) creano movimento e trasformazione da uno stato all’altro.

Eppure caos e caso non sembrano coincidere perfettamente: la mancata perfetta sovrapposizione sembra lasciare uno spazio estremamente affascinante non tanto all'ingovernabilità o all'incomprensibilità in quanto tali, quanto all'impossibilità stessa di quell'io di arrivare a comprenderne leggi che pur paiono esistere in qualche modo o da qualche parte e in una qualche relazione di causa-effetto di cui c'è granitica consapevolezza...

Interessante, a tal proposito è il concetto di “invarianza”, elaborato dal biologo e filosofo francese Jacques Monod, a partire dai concetti di caso e necessità. Egli ha studiato la capacità in una specie di riprodurre con un grado molto elevato una stessa struttura. Secondo Monod il contenuto d’invarianza di una data specie è uguale alla quantità di informazione che, trasmessa da una generazione all’altra, assicura la conservazione della normale struttura specifica (e meno male che esiste!, ci viene da dire). Le varianti sono invece l’effetto dell’esercizio del caso. Ma anche nella variazione vi è una sorta di regolarità data dal semplice fatto che essa esista e avvenga “casualmente” e quindi entra anch’essa di rigore nel processo evolutivo.
Più recentemente si tende a considerare il “caso” come condizione esterna alle specie, soprattutto come un dato ambientale. Un esempio. La persona x si è ammalata di cancro, un fatto che ci viene spontaneo considerare avvenuto “per caso”. Ma se la persona x abita al rione Tamburi di Taranto, probabilmente si è ammalata per la presenza degli inquinanti provenienti dall’Ilva.



Insomma, non si tratta tanto di comprendere il caos, di giustificarlo di volerlo velleitariamente metterlo in ordine, cosa che priva completamente la tua silloge di qualsiasi forma di banalità. Ho più l'impressione di un tentativo di identificazione del suo posto e di (ri)collocazione all'interno di una qualche logica osservazione. Sempre ammesso che esso stesso non sia “un posto”...

Nella quotidianità il caos è un passaggio obbligato per giungere ad una certa situazione di ordine e stabilità. È sufficiente entrare nelle nostre case, nelle nostre vite per averne dimostrazione. Caos e caso sono concetti (oserei dire situazioni reali) affatto estranei tra loro (da qui il titolo della raccolta È stato per caos, nella metatesi caos/caso).
L’origine della parola “caos” è greca; nella sua etimologia vi è il significato di “essere aperto, spalancato”, ma anche di “essere voragine”; così la parola “caos” è stata immediatamente assunta dall’apparato mitologico classico, sia cosmogonico che teogonico. L’origine della parola “caso”, invece, è latina, da “cadere” e per estensione accadere. Si intende di un fatto che “accade o sta per accadere”; in seguito si carica del significato di ”accidente”, avvenimento che avviene senza alcuna causa.
Secondo il greco Esiodo, in tempi remoti, quando la vita non ancora esisteva, non vi era altro che Caos, cioè uno spazio scuro e vuoto, un agglomerato confuso che aveva in sé un miscuglio disordinato e indeterminato di elementi che sarebbero poi diventati terra, acqua, aria e fuoco. Dunque questa originaria voragine avrebbe potuto contenere anche il disordine e ciò ci fa intuire che il “caos” sarebbe in subordine rispetto alla creazione.
Successivamente il filoso Empedocle propose una cosmogonia in cui il mondo era composto dai quattro elementi naturali, mossi dai principi di Eros e Thanatos, ma modificati ciclicamente dal disordine, dal caos, considerato una delle fasi cosmiche.

È proprio quella l'anima di quel filo rosso che, come dicevo all'inizio, congiunge l'io, l'universo, la sua osservazione e la sua traduzione nella vita. L'universo/caos nella vita e non il contrario...

Il tema delle origini della vita è rintracciabile in tutte le mitologie dei popoli antichi e successivamente nelle religioni. Per l’Ebraismo «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Genesi, 1,1); nel Corano «Egli (Allah) ha creato per voi tutto quello che c’è sulla terra. Poi si è rivolto al cielo e lo ha ordinato in sette cieli» (Sura II. Al -Baqara, 29). Le religioni hanno, dunque, operato una ricomposizione fissando delle precise risposte alle quali i credenti, confortati rispetto alle proprie ansie esistenziali, si sono tranquillamente adeguati.
Ma dal Caos ci giunge anche distruzione e dolore, com’è scritto nell’Antico Testamento: «Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra» (Genesi 11, 9) e nel Nuovo Testamento, col racconto della cacciata dei mercanti dal Tempio, per cui si avverò la profezia: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti» (Zc 14, 21).

M. P. LATORRE, È stato per caos, Tabula fati 2025

Personalmente ho sempre creduto che in poesia sia impossibile mentire, anche quando lo si vorrebbe fare. Non so se sei d'accordo ma mi sembra che quell'io lo confermi nella sua “missione” poetica e artistica. E forse è lì la sua traslazione in questo Tempo e in questa Storia...

L’artista è colui che s’immerge nella materia oscura e caotica per generare, ed è solo accettando di sperimentare il buio, di sprofondare nelle forre del disordine e dell’indistinto che può far nascere una nuova scintilla (Nietzsche docet!).
Egli deve attraversare la paura per far germogliare il caos dentro di sé, come ci annuncia Nazim Hikmet: «Dalla tua testa dalla tua carne dal tuo cuore/ mi sono giunte le tue parole/ le tue parole cariche di te/ le tue parole, madre/ le tue parole, amore/ le tue parole, amica./ Erano tristi, amare/ erano allegre, piene di speranza/ erano coraggiose, eroiche le tue parole/ erano uomini».
Queste le “ragioni” alla base della genesi di È stato per caos; in esso confluiscono suggestioni provenienti dal caos emotivo e da quello climatico, dall’osservazione della realtà e dalla stratificazione delle esperienze.
Chagall ha dichiarato: «Se creo dal cuore, quasi tutto funziona; se dalla testa, quasi nulla». Per me un buon rapporto con la poesia implica l'acquisizione di solidi piedi ben piantati nel cielo. Riporto dalla quarta di copertina: «Viaggiamo ad alta velocità in vite stritolate da logiche di potere, dove è sempre più difficile riconoscerci ognuno nella propria identità. Siamo alla continua ricerca di direzionare le nostre energie in azione, oppure, all’opposto, ci ritroviamo immersi nell’atonia, atteggiamenti diversi per lo stesso malessere. Ma la comune tensione vitale che ci investe è resistere. Resistere a tutto ciò che di disumano ci è intorno e che ci interroga, per compiere, così, il necessario salto verso l’autenticità del vivere. Il senso è nell’autentico che ci permette di sperare sempre e comunque nella coscienza umana».



Ora, se manteniamo quell'io come unico trait-d'union con la tua precedente produzione, com'è ovvio, possiamo dire che È stato per caos prende nettamente le distanze dal precedente Flamenco e cioccolato? Nel senso che mi pare non si possa dire di questa tua ultima opera che sia un continuum direttamente riallacciato alla precedente. Pare piuttosto fare un enorme balzo in avanti...

Credo che tutti coloro i quali, per varie ragioni, pubblichino delle raccolte poetiche sperimentino un forte senso di interconnessione tra queste e la propria vita. Ogni pubblicazione è un rimando ad un pezzo di storia personale, un passaggio autobiografico, oltre che espressivo, una sorta di vaso di Pandora della propria coscienza. Flamenco e cioccolato, vincitore di un concorso per inediti e pubblicato dalla GCL, è un volume a cui sono molto affezionata perché racchiude fondamentali momenti della mia vita privata così come momenti di vita collettiva che ci hanno travolti segnando, in certi casi, anche i nostri destini; mi riferisco al periodo pandemico. Di fatti quando scriviamo lo facciamo per impellenza, ciò che ne viene fuori è già altro da noi, per cui nel giudizio mi rimetto a te e a chi vorrà come te leggere ed entrare in questi due miei universi personali.

M. P. LATORRE, Flamenco e cioccolato, G.C.L. edizioni 2022



Oltre che poetessa sei anche particolarmente impegnata in attività letterarie di diversa natura: promotrice culturale, curatrice di antologie, collaborazioni multidisciplinari... Quanto del tuo percorso eclettico e multiforme credi sia arrivato a condensare e sintetizzare riflessioni e contenuti in È stato per caos?

Ho ereditato da mio padre una certa follia e da mia madre uno sguardo positivo sul mondo e purtroppo (o per fortuna, a seconda delle situazioni) questi due elementi mi condizionano geneticamente, nel bene e nel male.
Non sono un’innatista bensì una comportamentista (di fatti amo l’insegnamento ed è parte della mia vita dall’età di quindici anni, da quando ho cominciato a fare la doposcuolista), eppure sento che la voce interiore, per quanto folle sia, non si possa mettere a tacere più di tanto, per cui, eccomi qua, col mio carico di difetti e slanci, ma con l’onesto desiderio di poter ogni giorno migliorare il mio “essere umano” al servizio della collettività. E sai bene quanto abbia a cuore questo tema e lo faccia mio in diverse esperienze di scrittura. Una considerazione a latere, così, detta fra noi. Con tutta la buona volontà e l’impegno, non si può realizzare niente se non si ha accanto una famiglia che ti sostenga e creda in te.
A questo punto colgo questa splendida occasione per ringraziare pubblicamente Michele, compagno e complice di questo tempo per me così pieno, per la vita che riesce ogni giorno a donarmi. Ogni giorno.

* * *

M. P. LATORRE, È STATO PER CAOS, Tabula fati, collana Polveri, diretta da Vito Davoli, presentazione di Paolo Polvani, in copertina Campo 2, di Michele Agostinelli, maggio 2025.

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