Adriana Giotti sull'opera poetica di Mauro Macario

Il grave declino ideologico, intellettuale, civile e morale osteggia il riconoscimento e lo sviluppo dei talenti e pone evidenti limiti alla libertà d’espressione.
Allo scrittore, cui è concesso un ampio margine di libertà nella rappresentazione di eventi e nella costruzione di situazioni, personaggi e dialoghi, non resta che adattarsi alla realtà contingente o rifugiarsi nella fantasia.
Diverso è per il poeta, da sempre primario artefice, depositario e tutore della bellezza, del potere e del valore delle parole, che non può più limitarsi ad appagare la funzione tradizionale del patrimonio linguistico, a rendere intelligibili le idee, le opinioni e i concetti, e favorire la condivisione dei valori umani.


Consapevole dell'arduo compito di salvare la parola dagli abusi e dai soprusi, Mauro Macario rifugge dalle composizioni particolaristiche, personalistiche e individualistiche, che piegano la poesia e l’arte alle intime intenzioni di un autore e alle sue personali aspirazioni, esigenze e necessità, e traccia un percorso lontano dagli artifici dei vati, degli esegeti e di coloro che s’illudono che la vita sia una lezione, piuttosto che l’unica maestra da cui apprendere come vivere degnamente il frammento di eternità concesso a ogni essere vivente. 
Lontano dai riti orgiastici dei parolai, che trasformano le parole in rilanci di echi e moleste cacofonie di suoni, il poeta offre una visione della realtà completa, non tessere disgiunte, parti di un mosaico che, solo se ricomposto, alla fine mostra la totalità di un’immagine, ma “lo spirito terreno”, con le sue fulgide ascese e immani cadute, immerso nell'“eternità assoluta”, che ci chiama a un compito sempre più isolante e arduo: animare lo spazio con le prerogative che ci rendono artefici del nostro destino.
Macario non si erge a guida o guardiano, a moralizzatore delle masse o critico dei fallimenti comuni, a taumaturgo o super uomo, risolutore della più umiliante e indecente disfatta umana. Al contrario, è parte di quella eccezione che coltiva “Il culto del disordine” e smentisce un ordine tanto apparente quanto doloso e doloroso, dietro cui si cela l’ennesimo crollo dei miti dell’Occidente. 
Di fronte alle “Piccole infinitudini” umane, questo artista d’immensa umanità e sapienza, sovverte “gli altari di liturgie” che sconsacrano la vita, l’essenza, la bellezza. 
Fiero trasgressore delle regole comuni, dell'adattamento forzato o volontario alla morale al ribasso, rifiuta di specchiarsi dove il male diventa un pessimo affare, “un reddito occultato” con cui si baratta la propria dignità, “un guadagno in nero” che finisce per costare il rispetto di se stessi (Metà di niente).
Sfuggito “alla fossa umanistica” e al “cimitero dei viventi”, Macario cerca «la permanenza dentro un’estensione infinita di spasmi fluviali per trasformarli sostanza indeperibile».

M. MACARIO, Il culto del disordine, Tabula fati 2025

Nell’opera di questo artista, il poeta e l’uomo non sono scindibili, giacché la parola e l’azione convergono e la prima diviene strumento di crescita morale e intellettuale anche per il resto dell’umanità, per chi ha il buon senso di ascoltare. 
Teso a denunciare i “nanismi nazionali”, che mirano a “sradicare il talento ovunque si trovi”, il poeta diviene il seme della trasgressione, il combattente che anela a rispristinare “la nostra parte migliore, censurata e disattivata” dal sistema che governa senza alcun merito. Ne Il rumore della nebbia, come ne L’opera nuda l’abito di scena, che copre un pudore fittizio, si lacera e, nel più terribile dei silenzi il mondo che conoscevamo mostra inequivocabili segni di irreversibile putrescenza (Silenzio Occidentale).
Ora siamo al bivio. Non è più possibile credere ai sogni, alle utopie, ai miti, agli ideali, ai valori astratti. E non è concesso fidarsi del sistema globalizzato che governa l’Occidente, in cui si baratta la vita, si smerciano illusioni e un’”infedele libertà”: Restano i talenti a combattere e a sfidare il potere e l’ordine precostituito. Ai poeti spetta innalzare i “canti vigorosi di rivolta”, sfidare il niente, ricreare l’"immaginario” che non è mai impossibile, inaccessibile, chimerico. Al contrario, è la riconquista dell’eternità spirituale di ogni essere libero.
L’opera di Macario è la dimostrazione di quanto raro e sublime sia l’incontro tra il talento, lo spirito, l’intelletto e la coscienza. «Il guerriero solitario di una battaglia solipsistica» ha vinto: il suo seme ha fecondato un frammento d’eternità.
Adriana Giotti


Di prossima pubblicazione, la nuova silloge inedita di Mauro Macario



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