Gianni A. Palumbo prefaziona "Un sottopasso" di Guido Oldani

L’annuncio dell’età del “postumano”, con l’individuo ‘oggettificato’ al punto che per parlare di relazioni tra persone si debba assimilarle ai loro panni e cappotti, era già vivido nel Cielo di lardo, raccolta che Guido Oldani pubblicava per Mursia nel 2008. Perché quelle idee fossero elevate a chiarezza concettuale, si doveva attendere il pamphlet oldaniano dal titolo Il Realismo Terminale (Mursia 2010), espressione, nell’era delle ‘pandemie abitative’, di una «poetica» che è anche «una lettura del mondo: una fase del cammino dell’umanità aperto a esiti possibili di segno opposto». Questa poetica ha avuto forza aggregante considerevole, fino a produrre nel 2014 un conseguente Movimento. Subito è stata evidente la tensione del Realismo Terminale all’impegno civile, con la sua lucidità di sguardo sorretta dall’arma di un’ironia che, per ricorrere a un’espressione da Oldani riferita a Parini, è la vera «dinamite poetica».

Gianni Antonio Palumbo


A innervare Un sottopasso, silloge finora inedita di Guido Oldani, è proprio la pacata esplosione di sdegno verso una società che identifica gli uomini con i prodotti al punto da innestarli nella catena dell’‘usa e getta’.
Il lettore che abbia familiarità con le antologie del Movimento riconoscerà subito nel protagonista il senzatetto Michele Ubaldi1. Il giovane aveva chiesto a Oldani di mettere in un libro la sua storia: «ma andando lento non ho fatto a tempo, / dove sedeva, ora scorre il vento». Con queste poesie, un atto di pietas e amore restituisce voce a Michele. A lui, che era riuscito a trasformare quell’augeriano non luogo «indegno come un buco / che è un sottopasso lungo pedonale» in uno spazio «quasi conviviale», sacro a suo modo («il sottopasso è una chiesa vuota / da che michele se n’è andato in cielo»).

La raccolta di Oldani assume l’aspetto di una sorta di laico “atto sacramentale”. Rifuggendo qualunque caduta nel patetismo, il poeta conduce un discorso altissimo dall’apparenza dimessa (in linea con il soggetto del canto) e, dominando l’emozione con l’ironia, schizza un ritratto intenso e lacerante. ‘Rifiutato’ dalla società come un abito dismesso o un’inutile ferraglia («era il magazziniere d’una ditta / che purtroppo è andata in fallimento / poco dopo è travolto dallo sfratto»), Michele popola un ambiente limitaneo ed eterotopico in cui nulla persiste, se non il senso di transitorietà. Lo illumina – con il suo cane Dumbo che prega Nettuno – quasi fosse un san Francesco moderno, reietto e cristificato nel suo calvario misconosciuto. E se quella che abita un ‘non luogo’ appare agli occhi del Male una ‘non vita’ (la similitudine rovesciata nel contesto di Un sottopasso è quanto mai appropriata), ecco che il giovane va incontro alla furia insensata di chi di umano ha solo il nome e fa stridere note di violenza nella varia partitura musicale del sottopasso.

G. OLDANI, Un sottopasso. Lamento bilingue per Michele Ubaldi, Tabula fati 2025

Presenza forte nella raccolta è il vento. Sebbene gli sia attribuita quasi una funzione agonistica nei riguardi di Michele (non a caso ne prenderà idealmente ‘il posto’ nel finale) e nonostante esso tutto trascini e obliteri nel suo corso rapinoso, il vento corre libero dappertutto. Proprio come Michele: «tre lo picchiano sulla gamba zoppa / e gli rubano il vuoto delle tasche, / ma la sua libertà però galoppa».

Gianni Antonio Palumbo
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1 Morto a ventinove anni per la polmonite contratta nel sottopasso della stazione di Melegnano, dove viveva col suo cane.

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