Vittorino Curci prefaziona "La vita naturale" di Vito Bruno
Di seguito la prefazione completa a La vita naturale di Vito Bruno, quarto volume della collana Polveri.
Vittorino Curci (foto di Francesco Liuzzi)
Inclino a credere che La vita naturale, il tema conduttore e anche il bellissimo titolo di questo libro, abbia qualche attinenza con l'esistere inteso come presenza incarnata, complessa e autentica di cui parla Miguel Benasayag nel suo saggio del 2018 Funzionare o esistere?.
Il filosofo e psicanalista argentino – nel 2004 autore, con Gérad Schmit, di un libro di successo come L'epoca delle passioni tristi – proseguendo la sua ricerca sulla condizione umana di oggi analizza quel che accade in un sistema sociale quando una tecnologia evoluta e fuori controllo prende il sopravvento sulle persone trasformandole in macchine utili ed efficienti e privandole del benché minimo desiderio di esistere.
Che fare in una situazione del genere? Benasayag suggerisce per prima cosa di «entrare di amicizia» con la propria fragilità: «ecco l'avventura che ci è proposta dalla nostra epoca», dice. Ed è esattamente questo ciò che fa Vito Bruno con la sua poesia: «Mi sto rintanando nella mia vita. Alla / fine non si sta così male. / È così piccola che coincide con il mio corpo. / Così vuota che non c’è nulla. / Quando scivolerò dall’altra parte neanche / me ne accorgerò. / Resterò per sempre io».
Vito Bruno è ben noto come narratore. Ha scritto diversi libri apprezzati dalla critica e dal pubblico vincendo tra l'altro il Premio Pavese nel 1995 con Cirlè e altri racconti (Feltrinelli) e giungendo finalista al Premio Campiello con Mare e mare (E/O) nel 2020. Pochi sanno o ricordano però che il suo primo libro, Movimenti, è un libro di poesia pubblicato nell''86 da Aelia Laelia, la piccola e gloriosa casa editrice di Reggio Emilia che ebbe vita breve e pubblicò soltanto 11 libri. (E che libri! Ne menziono solo tre: Appunti sparsi e persi di Amelia Rosselli, Pericolo di Carlo Bordini e Non sempre ricordano di Patrizia Vicinelli.).
Dal punto di vista stilistico le poesie di Movimenti non si discostano molto da quelle raccolte in questo libro. Hanno la stessa dinamicità del verso, lo stesso parlato, la stessa configurazione di parole semplici. Ciò che è cambiato negli anni è lo sguardo con cui il poeta osserva se stesso e le cose del mondo, «perso quaggiù, / in questo ghetto di dolore e contrizione».
Si può dire che essenzialmente egli assegni alla poesia il compito di dar vita al suo io più vero. Ma, se da una parte riesce a profilare se stesso con una precisione che nessun algoritmo potrà mai eguagliare, dall'altra scopre il vuoto («la vacuità del mondo intero») e si chiede: «A che giova un io disperato? / Ad aumentare l’angoscia del mondo? / A ingrossare le file degli ultimi? / A meritare la carezza di Dio? // Far passare un’altra ora, / un altro giorno, / un’altra settimana, / che ci vuole?».
È a questo punto che entra in gioco la vita naturale: se si è lontani da se stessi, se l'abitudine finisce per fagocitare l'esistenza, se diventa del tutto impossibile espellere da sé il nulla, il poeta, ritornando sui suoi passi e cercando piccoli momenti di sollievo come aspettare la notte o guardare in silenzio il mare, può assistere al miracolo di vedere tutti i giorni della sua vita fondersi in un solo giorno senza tempo.
Il grande potere della poesia per Bruno è proprio quello di donarci quegli istanti di eternità che ci giungono improvvisamente, quando meno ce li aspettiamo. Ne è un chiaro esempio questo gocciolio di versi che toccano davvero l'anima: «Ho messo in fila / i giorni che verranno uno / dopo l’altro, laggiù, / ai piedi della collina, / e ho ripreso a camminare a / ritmo lento / pensando a niente, / e quando sono giunto / sulla spiaggia, / ho trovato le mie orme / nella sabbia, / e una dopo l’altra / le ho seguite, / fino al mare».
Sebbene, come ho già detto, il mio amico Vito sia un valentissimo narratore, davanti alla pura bellezza di questi ultimi versi non posso non ricordare Brodskij (Premio Nobel per la letteratura nel 1987) quando diceva che «la poesia è come l’aviazione» e «la prosa come la fanteria».
Vittorino Curci


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